1945 – Operazione Herring No. 1

Nella stasi generale del fronte, che nell’inverno del 1944 fece seguito all’Operazione Olive e al fallimento della manovra a tenaglia della battaglia di Rimini, che avrebbe dovuto aggirare alle spalle la 10a Armata tedesca, gli Alleati si prepararono accuratamente per lo scontro finale. Pianificarono di lanciare truppe aviotrasportate dietro il nemico, per impedire la distruzione dei ponti e scompigliarne le retrovie. L’idea di utilizzare paracadutisti italiani venne al tenente colonnello sir John Marling del Quartier generale dell’ 8a Armata britannica, che pensò di organizzare un SAS (Special air service) italiano, corrispondente al gruppo inglese che era stato creato sul fronte africano per condurre audaci azioni di sabotaggio ai danni del nemico. Chiese pertanto al generale Giorgio Morigi, comandante del Gruppo di combattimento Folgore, ufficiali e soldati per l’operazione.

Il compito affidato a questi commandos si poteva così riassumere:

  1. Condurre attacchi notturni al nemico in ritirata a sud del Po, bloccandone alcuni mezzi in modo di trasformare i convogli in facili bersagli per gli aerei alleati.
  2. Sui ponti che si desiderava preservare per l’avanzata alleata neutralizzare le cariche poste dai tedeschi per farli saltare e, viceversa, far saltare gli altri ponti per rallentare la ritirata del nemico.
  3. Interrompere le linee telefoniche del nemico.
  4. Creare scoraggiamento e allarme generale, anche interagendo con i gruppi partigiani.
  5. Restare inattivi durante il giorno, nascondendosi sotto le viti o nei fossati o mischiandosi agli abitanti.

I paracadutisti dovevano essere tutti del Gruppo di combattimento Folgore (brevemente Squadrone F) e tutti volontari. Vennero preparati opportunamente in una Scuola dei SOE (Special Operations Executive): i commandos britannici.

L’operazione iniziò nel tardo pomeriggio del 20 Aprile 1945: sul campo di Rosignano erano pronti 14 Douglas DC-3 tipo Dakota dell’Aeronautica Americana e 246 paracadutisti italiani del costituito ISAS (Italian SAS): 114 provenienti dallo Squadrone F e 109 dalla centuria Nembo, due unità del Gruppo di combattimento Folgore. L’operazione era prevista durare 36 ore, tra il lancio e l’arrivo degli Alleati nella zona di atterraggio; in realtà durò in media il doppio: tra due e tre giorni a seconda dei luoghi di atterraggio. Fu denominata Operazione Herring No.1, perché ne erano previste altre, ma non ce ne fu bisogno, perché la guerra terminò pochi giorni dopo la fine dell’Operazione.

Paracadutisti_italiani_salgono_a_bordo_di_un_C-47_all'aeroporto_di_Rosignano_(20_aprile_1945)

Fig. 1 – Imbarco dei paracadutisti a Rosignano (da Wikipedia)

In volo verso le zone

I 14 Dakota incontrano una forte resistenza antiaerea al passaggio del Reno: bengala e traccianti i illuminano il cielo. I piloti americani (piloti di aerei cargo e in quanto tali non avvezzi alla antiaerea) aumentano la velocità per non essere colpiti e perdono così il controllo delle zone su cui dovevano sganciare i gruppi. Le 12 pattuglie dello Squadrone F sono così disseminate in tre province Modena, Bologna e Ferrara, anziché essere concentrate tutti a sud-ovest di Ferrara, come il programma prevedeva. Alcuni gruppi caddero in punti distanti anche 30 – 40 km dagli obiettivi stabiliti.

Paracadutisti_italiani_verso_la_zona_di_lancio_dell'operazione_Herring

Fig. 2 – I paracadutisti in volo verso le zone di lancio (da Wikipedia)

I punti di atterraggio delle pattuglie dello Squadrone F nella zona prossima a Ferrara sono riportati in Fig. 3.

Operazione Herring lanci - 1

Fig. 3 – I luoghi prossimi a Ferrara in cui operarono le pattuglie dello Squadrone F; il simbolo paracadute indica un luogo di atterraggio, il paracadute con croce un luogo previsto e mancato, l’esplosione un convoglio o un ponte fatto saltare o uno scontro a fuoco.

Concentriamoci ora sulle notizie raccolte sulle quattro pattuglie che scesero nella zona di Terre del Reno, tutte dello Squadrone F.

Raveda

La pattuglia U, formata da 10 uomini e comandata dal sergente Aurelio Asperges scende nei pressi della chiesetta di Madonna della Neve, in località Raveda. Avrebbe dovuto atterrare a est di Poggio Renatico, invece finisce lì. Nonostante l’iniziale disorientamento, la squadra mette in marcia per portarsi nella zona di atterraggio previsto, dove si trovano gli obiettivi assegnati. Uno degli uomini si è rotto una caviglia durante l’atterraggio ed è portato a spalle dai commilitoni. Dopo la cattura dei primi prigionieri tedeschi, saranno questi a trasportarlo.

Raggiungono due ponti, già minati dal nemico e il sergente Asperges taglia le micce delle cariche, senza rimuoverle, perché ciò potrebbe essere notato dai tedeschi.

Nelle notti del 21 e del 22 la pattuglia si muove abilmente nelle tenebre, fa alcuni prigionieri, taglia sette linee telefoniche; durante il giorno rimane nascosta nei fossati.  All’alba del 22 Aprile i dieci parà, con il gruppo di prigionieri, capitano in un cascinale, la cui aia è piena di camion tedeschi: i conducenti si sono concessi una sosta; alcuni riposano sdraiati vicino agli automezzi, altri sono nel cascinale. Asperges dispone i suoi uomini a semicerchio e ordina un intenso fuoco di fucileria e un lancio di bombe incendiarie, che trasformano i veicoli in una fornace. Alcuni esplodono, perché sono carichi di munizioni. I tedeschi si danno alla fuga. Alcuni sono catturati, aggiunti agli altri prigionieri e rinchiusi nel cascinale.

Verso la metà della mattina giungono finalmente gli Alleati: una colonna inglese; i rapporti che ho trovato non dicono di quale corpo fosse, ma con ogni probabilità era del 16°/5°  Lanc., perché la pattuglia si era spostata verso est e i lanceri del 17°/21° Lanc. rimasero bloccati a Poggio Renatico sino al tardo pomeriggio. Asperges va incontro alla colonna con le mani levate e, per fortuna va tutto bene: gli Inglesi comprendono che sono i commandos e, avuta la posizione del cascinale, vi si recano.

Complessivamente  la pattuglia U fece 17 prigionieri, 18 furono i morti accertati, sette le linee telefoniche interrotte, oltre a due attacchi: uno presso il cascinale e uno a un convoglio che transitava su un quadrivio: alcuni camion incendiati bloccarono completamente la strada e le truppe in ritirata furono obbligate a passare per i campi.

La pattuglia rientrò pressoché indenne e al sergente Asperges fu conferita  la medaglia d’argento al valore militare.

Madonna Boschi

La pattuglia I, composta da 10 uomini e comandata dal sottotenente Carlo Scaranari, per il solito errore atterra nei pressi di Madonna Boschi. I paracadutisti scendono proprio sui camion dei Flak (Flugabwehrkanone, i cannoni antiaerei) posti in prossimità di un crocicchio (probabilmente su via Imperiale). La reazione dei tedeschi è immediata: uno dei paracadutisti, Silvio Infanti, è ucciso ancora in volo; due parà, Rino Balesto e Angelo Capretti finiscono illesi sul telone di un camion e vengono fatti prigionieri. Giambattista Marcuz scende troppo veloce e, se non ci fosse ad attenderlo un terreno appena arato, riporterebbe seri danni, se la cava invece con solo un paio di vertebre ‘insaccate’. A terra gli uomini si trovano divisi in due gruppi, che da lì in poi agiscono autonomamente. Marcuz, con Scaranari e un altro compagno, si dirigono verso Mirabello, e, nel tragitto, si imbattono in truppe nemiche autotrasporte. Il gruppetto, nonostante il forte svantaggio numerico, attacca: alcuni veicoli finiscono in fiamme. Nei due giorni successivi, prima di essere recuperati, compiono altre azioni. Il secondo gruppo, dopo alcune scaramucce, si porta sulla rotabile tra Mirabello e Sant’Agostino, la mina con esplosivo al plastico e vari autocarri saltano e prendono fuoco, bloccando la colonna.

Il bilancio delle azioni della pattuglia I fu di 25 nemici tra morti e feriti. Rientrò con tre uomini in meno, Infanti, ucciso durante la discesa e i due fatti prigionieri. Questi, dopo un lungo tragitto con i tedeschi, riuscirono a scappare e tornarono alla base dopo qualche settimana.

Corte Zerbinata

La sera di venerdì 20 Aprile, sulla strada dell’argine Castagno, transita una colonna tedesca proveniente da Casumaro. Giunta alla corte Zerbinata (Fig. 4), alcuni automezzi entrano per una sosta. Un testimonio (Franco Bellini di Casumaro che all’epoca aveva 13 anni) racconta che mentre gli autisti armeggiano intorno ai motori, i contadini escono a curiosare e a conversare con loro. A un tratto passa un aereo molto basso, da cui si staccano, in sequenza, una serie di paracaduti. È la pattuglia F, agli ordini del sottotenente Aldo Trincas, che scende in un punto diverso da quello previsto dal piano iniziale. Fu un attimo, i tedeschi si mettono a gridare, ordinano ai contadini di chiudersi in casa e cominciano a sparare. Quando la sparatoria termina due parà giaciono al suolo; gli altri sono indenni un poco più lontano e riescono a far perdere le loro tracce.

Zerbinata - 1 (1)

Fig. 4 – Il luogo dove sorgeva la Corte Zerbinata sulla strada Mirabello-Casumaro è ancor oggi visibile nelle foto aeree.

Zerbinata campo - 1

Fig. 5 – Il campo presso la corte Zerbinata in cui scescero i due parà

Il giorno seguente i tedeschi fanno seppellire i caduti in una buca, sul ciglio della strada: sono il caporale Gino Mangia di Piacenza e il paracadutista Giuseppe Tiracorrendo di Roma, noti a tutto lo squadrone per essere grandi e inseparabili amici. Quando, il martedì o il mercoledì successivo, passano gli americani, con il tenente comandante il reparto, vogliono vedere il posto dove i compagni erano stati seppelliti. Tornano dopo una decina di giorni e recuperarono le salme.

Roberto Barbieri, un testimonio ‘indiretto’, ci racconta cosa accadde

Benché fosse stata lanciata in un punto sbagliato e fosse stata molto sfortunata la pattuglia conseguì ugualmente buoni risultati: furono incendiati tre autocarri, venne minata la strada fra Bondeno e Vigarano al chilometro 16, fu fatto saltare il ponte di via Rovere sul canale di Burana, furono interrotte sei linee telefoniche, furono consegnati 31 prigionieri allo squadrone carri della 6a Divisione britannica e 20 furono i morti nemici accertati. Oggi a Gino Mangia, medaglia d’argento al V.M., è dedicata la piazzetta davanti al municipio di Terre del Reno. Su una casa, vicino al luogo in cui sorgeva la corte Zerbinata è stata posta una lapide in ricordo dei due parà caduti per la nostra libertà.

Zerbinata lapide - 1

Vigarano Mainarda

Domenica 22 Aprile 1945, ai carri dello squadrone C del 16°/5° Lanc. della 6a Divisione corazzata britannica che entravano nella piazza principale di Vigarano Mainarda si presentano due paracadutisti dello Squadrone F, i cui nomi non ci sono noti. I testimoni riferiscono che provenivano da Coronella. I due parà informano l’ufficiale comandante lo squadrone che hanno l’incarico di sminare il ponte di Bondeno sul Panaro, per permettere il transito degli Alleati.  L’ufficiale incarica due partigiani, Carlo Tagliani e Ilario Fortini, di portare i due a Bondeno. Con un biroccio i quattro si avviano alla volta di Bondeno, seguendo strade secondarie perché la provinciale è molto pericolosa. Giunti a destinazione i parà iniziano il loro lavoro sotto il ponte di San Giovanni. Era l’alba del 23 aprile e una colonna alleata stava per sopraggiungere. Lo sminamento però non riesce: poco dopo il ponte saltò, o perché non tutti gli esplosivi erano stati rimossi o perché i tedeschi riuscirono a piazzarne dei nuovi.  Il transito della colonna alleata fu bloccato.

Risultati complessivi

Le pattuglie diedero prova di grande determinazione nell’affrontare un nemico soverchiante in mezzi e armamento. Nonostant i lanci avessero mancato la zona d’atterraggio prevista, l’obiettivo della operazione fu raggiunto: i paracadutisti minarono strade di rilievo, attaccarono autocolonne in ripiegamento, incendiarono autocarri carichi di materiale, sminarono ponti sui canali e sui fiumi, interruppero linee telefoniche, crearono scompiglio nelle retrovie del nemico.

A Dragoncello, nel comune di Poggio Rusco, dove ebbe luogo lo scontro più duro, è stato eretto il memoriale dell’Operazione e dei suoi 31 caduti.

Considerazioni finali

Gli uomini della pattuglia U (atterrata a Raveda) e/o i sopravvisuti della pattuglia I (Madonna Boschi)  potrebbero essere stati alloggiati dagli Inglesi nella corte di Palazzo Sessa Aldrovandi la sera del 23 aprile, dopo il loro recupero. Gioca a favore di questa ipotesi il fatto che le unità che li recuperarono erano, quasi certamente, del 16°/5°  Lanc., che quella notte si acquartierò a Palazzo. Depone a favore anche il fatto  che il Palazzo era il luogo più opportuno per alloggiare i paracadutisti, tanto più se uno di essi fosse stato ferito, essendo un ospedale militare attrezzato, e vuoto, perché era appena stato abbandonato dai Tedeschi, che, ritirandosi, avevano portato con se i loro ricoverati. È quindi plausibile che il safety address e il suo contenitore rinvenuti nella corte (di cui parliamo nella pagina Il terreno racconta/Militaria) possa essere appartenuto a uno di loro. Ulteriore argomento a favore di questa ipotesi è che tale dispositivo era in dotazione agli uomini del SOE britannico e che, come riportato, i parà che parteciparono all’operazione erano stati addestrati nella scuola del SOE. Avvalora ulteriormente questa ipotesi il fatto che un distintivo, che potrebbe essere stato adottato dagli uomini dello Squadrone F (ne parliamo nella pagina Distintivi e medaglie) sia stato ritrovato poco distante dal contenitore.

Bibliografia

Nel preparare questa nota mi sono avvalso essenzialmente delle informazioni riportate in

C. Benfatti, L’Operazione Herring No. 1, 20-25 Aprile 1945, Editoriale Sommetti, Mantova, 1998

La Fig. 3 è tratta da F. Guernieri, Alla ricerca dell’Anima, Editoriale  Sometti, Mantova, 2018

Le carte militari citate nei libri e da me utilizzate sono le seguenti:

U.S. Army Map Service, 1941- Italy 1:100:000

foglio 76 – Ferrara 

U.S. Army Map Service, 1941- Italy 1:50:000

fogli 75-I Ficarolo  (include Bondeno), 75-II Cento (Sant’Agostino), 76-III Malalbergo  non sono riuscito a rintracciarla in rete (Mirabello e Poggio Renatico) e 76-IV Ferrara   (Vigarano)

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