I dì dla merla

Gh’i’era anch ‘na volta, tant e tant temp fa,               
– chista sturiela la m’è stà cuntà                                  
e av la ripèt senza preténdr un franch –                     
i mèral. Com la nev i’era tutt bianch,                          
acsì d’inveran senza trop strulgàr                                 
con la nev is putéa mimetizzar …                                    

Ma un ann in znàr un giaz tanta putént                     
al pruvucò ‘na massa d’inzzident                                   
e chi gh’éva pruvist e cald assà                                     
an mitéva gnanch fora al nas d’in cà.                           
I merl invèzz coi povar àltr usié                                   
i batéva i barbìn cmè canarié                                         
o i rastava a mezz’aria congelà,                                     
cascand po’ zó, più dur di bacalà.                  

‘Na merla ch’la viveva li d’avsìn   
l’éva truvà rifug int un camin,
vanzzànd ben a l’armocia riparà
finché cal fred tremend al n’è scciupà;
e quand l’è gnuda fora dal canton 
l’era dvantà più negra dal carbon, 
col penn lusenti e con un bel mantel 
ch’al splendeva ai prim raz dal solasèl.
E i mèral, invidiùs dal cambiament, 
i’ha vlèst variar divisa in cal mument 
e l’è par quest, d’istà come d’inveran,  
ch’i gh’ha al culor dla pégula, in etèran.

I ùltim trì giorn ad znar is ciama acsì     
da alora: “i dì dla merla”! A v’al digh mì.   
E se qualcdun al gh’ha ‘n’altra version,       
prima al m’la conta e mì agh darò rasón,   
s’l’è bon’d cunvìnzzram. Propia s’l’è diversa 
con prov sicuri, mi la turò persa.          

da I dì dla merla”  di Iosè Peverati [www.traditio.net], 1999. Legge Bruna Guizzardi.

[C’erano una volta, tanto tempo fa,
questa storiella mi è stata raccontata
e ve la ripeto senza pretendere un soldo –
i merli. Erano tutti bianchi come la neve
così d’inverno senza troppo darsi da fare
con la neve si potevano mimetizzare …

Ma un anno in gennaio un ghiaccio tanto potente
provocò un massa di incidenti
e chi aveva provviste a abbastanza caldo
non metteva nemmeno il naso fuori di casa.
I merli, invece, con gli altri poveri uccelli
battevano i becchi come i canarini
o restavano a mezz’aria congelati,
cascando poi giù, più duri del baccalà.

Una merla, che viveva lì vicino,
aveva trovato rifugio in un camino,
standosene ben riparata sotto vento,
finchè quel freddo tremendo non è scoppiato;
e quando è venuta fuori dall’angolo
era diventata più nera  del carbone,
con le penne lucentie con un bel mantello
che risplendeva ai primi raggi del solicello.
E i merli, invidiosi del cambiamento,
hanno subito variato divisa in quel momento
ed è per questo, d’estate come d’inverno,
che essi hanno il colre della pece, in eterno.

Gli ultimi tre giorni di gennaio si chiamano così
da allora: “i gironi della merla”! Ve lo dico io.
E se qualcuno ha un’altra versione,
prima me la racconti e io gli darò ragione,
se è capace di convincermi. Proprio se è diversa
con prove sicure, mi riterrò sconfitto.]

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