13 – La Società Operaia (Pannello 23)
Fino a questo momento solo marginalmente abbiamo ricordato l’autentica popolazione del territorio mirabellese, quella popolazione di umili lavoratori, contadini, taglialegna, maestri d’ascia, fabbri, fornaciari, muratori, molinari, barcaioli, conducenti di muli, scaricatori esperti nel loro mestiere o braccianti disposti a qualsiasi lavoro pur d’assicurare il pane ai loro numerosi figli. Abitualmente si afferma che costoro non fanno storia e tale affermazione può essere in parte giustificata, se non vera, quando li si consideri individualmente; essi però, se non hanno fatto la storia, hanno fatto il paese.
Certo hanno avuto bisogno di qualcuno che ne coordinasse, guidasse e finanziasse il lavoro (dei Rescazzi, che lavoravano con loro; dei nobili Malvezzi, Prosperi, Aldrovandi, per citare solo le famiglie di cui ci siamo interessati), ma senza il loro lavoro, la loro fatica, la loro perizia il territorio non avrebbe mai potuto essere bonificato, né le terre rese fertili, né i palazzi dei signori innalzati; sempre vigile nello scegliere i migliori e nell’allontanare gli scansafatiche, lo sapeva bene Pompeo Aldrovandi.
Per secoli rimasero ‘zavorra’, ‘plebe’, individui ignorati, privi di una fisionomia propria, incapaci di fare ascoltare la loro voce e di rivendicare un qualsiasi diritto. La rivoluzione francese mutò l’ordinamento giuridico e amministrativo del paese, distaccando Mirabello dalla comunità di S. Agostino ed aggregandolo, costituito in quartiere, al dipartimento del Basso Po, per unirlo poi, dopo l’avvento del Regno Italico, alla comunità di Poggio Renatico, della quale fece parte fino al 1817.
Restaurato il ‘vecchio regime’, sembrò che non fosse rimasta traccia alcuna dei tanti sconvolgimenti passati; lo stato sociale e le condizioni di vita furono riportati a quelli di una tradizione irrimediabilmente superata dalla realtà dei tempi e insostenibile.
Gli spiriti tuttavia erano mutati e l’unità d’Italia (1861) fu accolta con ben altro animo. L’Europa era agitata dal diffondersi del socialismo; la borghesia stava soppiantando l’aristocrazia; tra il popolo, accanto ai contadini sempre individualisti e diffidenti, si veniva affermando il nuovo ceto operaio. Un ceto di persone che avevano abbandonato l’individualismo sciocco ed egoistico, per unirsi a difesa di quelli che erano i loro interessi e i loro diritti, pronti a manifestare la propria volontà, anche con la lotta. Anche in Italia cominciarono allora a moltiplicarsi le Società Operaie; tra di esse però, ad evitare equivoci, dobbiamo distinguere quelle cittadine, e ‘operaie’ nel senso proprio della parola, da quelle dei paesi, formate da artigiani e da contadini.
Nelle industrie delle maggiori città l’operaio acquistò presto una nuova coscienza e formò veramente un nuovo ceto (poi classe), che iniziò la rivendicazione di una serie di previdenze sociali, poi di irrinunciabili diritti civili. Il ‘mutualismo’ costituì la prima manifestazione autonoma dell’organizzazione dei lavoratori delle fabbriche nella loro lotta sociale. Le associazioni, al loro nascere, si proponevano come principio ispiratore la reciproca solidarietà e comunione tra gli uomini, annunciata dal precetto evangelico.
Quasi tutte di origine mazziniana si presentavano come mutualità apolitiche, che, promosse e talora dirette da esponenti delle classi borghesi, non sollevavano ancora problemi di classe. Non dobbiamo pensare che, in simile stato di cose, la gente delle campagne, analfabeta o semianalfabeta, educata per secoli nelle scuole parrocchiali, mantenuta tranquilla nella sua miseria materiale da un’ingenua e sincera fede religiosa, abituata a servire senza fiatare la volontà dei padroni, potesse, di punto in bianco trasformarsi in un popolo di sindacalisti rivoluzionari, coscienti e forti. Del resto a Mirabello gli ‘operai’ erano di fatto artigiani o negozianti, poco numerosi e privi dell’arma propria dei lavoratori delle città industriali: il ricorso allo sciopero.
La Società Operaia di mutuo soccorso di Mirabello, sorta sotto il patrocinio nominale del Partito Repubblicano d’Azione e di Giuseppe Garibaldi, mascherava interessi di lotte tra aristocratici e borghesi e la difesa, nella sostanza, dei privilegi dei ricchi. Premesso questo non ci meraviglieremo più nel renderci conto che anche la Società Operaia di Mirabello (sorta tra le prime della zona nel 1878) riuniva, sì, i lavoratori, molti sinceramente convinti ed attivi, ma per iniziativa e sotto la guida della borghesia (socialista per spirito umanitario e nel proprio interesse) e di qualche membro dell’antica nobiltà. Infatti il primo nome che incontriamo è, anche in questo caso, quello di un Malvezzi, primo Presidente Onorario della Società.
Statuti, manifesti, medaglie si devono certo più all’interessamento e al diretto intervento, anche finanziario, di questi promotori, che ai contributi dei soci, che non potevano essere sufficienti a fronteggiare le spese organizzative e assistenziali. Né la cultura e le relazioni sociali dei lavoratori potevano permettere loro di redigere verbali, stilare inviti e manifesti e sollecitare dalla Gazzetta di Ferrara l’annuncio della inaugurazione della bandiera sociale (1878).
1878 – Manifesto per il primo anniversario della Società Operaia di Mutuo Soccorso in Mirabello [Arch. F. Rinaldi]
Si dovette forse a questo equivoco politico-sociale se la Società Operaia di Mirabello, invece di trasformarsi come altre in Lega Operaia, decisamente popolare e combattiva, perse la sua matrice e finì come Opera di S. Vincenzo, per cui alcuni suoi documenti sono conservati nell’archivio parrocchiale.
Periodici e numeri unici ferraresi si interessarono ancora dell’Associazione mirabellese, che però nel 1935 il fascismo non avrà difficoltà a trasformare in uno strumento della propria propaganda contro gli agrari: nella vicina Ferrara il ras Balbo ed i suoi mazzieri stavano conducendo la loro tragica azione. Ma quel seme produsse presto i suoi frutti: operai e contadini, coscienti e maturi, impararono ad esprimere nella lotta la volontà popolare unitaria: una voce che non può più essere ignorata in ogni controversia sociale – economica – amministrativa o politica.