Pannello 1- Le mutazioni del Reno

Il primo pannello fornisce una importante chiave di lettura per tutta la mostra ed è pertanto opportuno dedicare ad esso più tempo che agli altri.

Attorno al 1000 la zona compresa fra Cento, Bondeno, Ferrara e il Poggio si presentava come uno sconfinato acquitrino, pressoché ininterrotto (la Padusa, mostrata nella carta grande del pannello precedente), dal quale sorgevano qua e là castelli e ville su modesti rialzi del terreno.  Come mostra la figura A nel box nero introduttivo, il Reno modificava spesso il proprio corso, seguendo le pendenze del terreno, progressivamente modificate dai suoi stessi depositi alluvionali (la linea verde è il confine tra Ferrara e Bologna).

Fino al 1152 il Po si apriva nel delta solo a valle di Ferrara, ma in quell’anno (come mostra la figura B) una rotta a Ficarolo gli creò un nuovo sbocco al mare; più diretto e con maggiore pendenza, e quindi con maggiore portata, dei precedenti. Il nuovo ramo fu detto Po Grande, o Po di Venezia, per distinguerlo dall’antico corso che divenne il Po di Ferrara. Nel 1240 un ennesimo evento alluvionale provocò un cambiamento anche del corso del Reno, che si indirizzò verso il finalese, seguendo antichi paleoalvei, per confluire, non lontano da Bondeno, nel Panaro, affluente del Po di Ferrara. Ma nelle piene le sue acque continuavano a dilagare verso le valli del Poggio, di Malalbergo e di Marara, tanto che dal 1497 abbandonò il Panaro e si  portò, passando tra Cento e Pieve, a nord di Sant’Agostino, per scaricarsi, disalveato, parte in Po, parte nelle valli.

A seguito della riduzione di portata conseguente alla rotta del 1152, il Po di Ferrara iniziò ad interrirsi, condizionando negativamente l’economia fluviale non solo di Ferrara, ma anche di Bologna, che utilizzava un suo ramo (il Po di Primaro o di Argenta) per la navigazione dalle valli al mare.  Per scongiurare il rischio di perdere la sua via d’acqua, Bologna iniziò un lunga e costosa opera di arginatura dei fiumi appenninici per immetterli nel Po di Primaro. Ottenne così anche un gradito effetto secondario: liberò dalle acque vaste zone della Padusa.  Alla fine del XV secolo erano già stati inalveati Santerno, Lamone, Senio, Sillaro, Quaderna, Gaiana e Savena. Vi furono lunghe trattative fra Bologna e Ferrara per incanalare il Reno nel Po a Porotto. Ferrara si opponeva.  Nel 1522 si verificò una disastrosa esondazione del Reno, di cui il documento 1 ricorda gli effetti a Mirabello: gli eredi degli annegati chiedono di essere esentati dalle tasse che … i morti avrebbero dovuto pagare. A seguito di questa esondazione Ferrara accettò. Il Reno fu incanalato fra argini pressoché rettilinei da Sant’Agostino a Porotto, come mostra la figura C,  e immesso nel Po di Ferrara, poco a monte della città e della divisione di questo  nei due rami di Volano e di Primaro.

L’immissione del Reno in Po non sortì però il risultato sperato (aumentare la portata del Po di Primaro), bensì il suo esatto contrario: un più rapido  interrimento del Po, per la deposizione dell’abbondante materiale alluvionale che il Reno trasportava.

Vedendo  il suo porto fluviale ancor più minacciato, Ferrara iniziò un lungo contenzioso con Bologna, ostacolato dal Papato che mirava a indebolire gli Estensi per impadronirsi di Ferrara. Il documento 2 riporta il discorso che Giovanni Battista Aleotti d’Argenta, il più grande scienziato ferrarese del tempo, tenne a  Papa Clemente VIII nel 1598 perorando gli interessi di Ferrara:

A nostri tempi vedemmo [i rami del Po di Ferrara] navigabili per modo che abbiamo ammirato la grandissima quantità di navi da gabbia [cioè galeoni], che provenendo d’Inghilterra e di Fiandra, solevano scaricare a Ferrara, come in sicurissimo porto, le molte merci, delle quali Venezia oggi dispensiera si è fatta a tutta la Lombardia. Il che potrebbe forse parer difficile a credersi per chi ciò non vide. … Ferrara,  per cagione di questo fiume, d’umilissimo borgo che era si accrebbe tanto che se la potenza de’ suoi Principi passati non fu a tutta Italia formidabile, fu almeno, e pe’ loro meriti particolari e per la grandezza, venerabile, tale mantenendosi fino al punto tangente l’abside supremo della sua maggior grandezza, che fu nell’anno 1522, in cui Alfonso I lasciò indurre se medesimo a tollerare gratuitamente che il Reno fosse immesso nel Po: di modo che, perduti li suoi commerci estesissimi, de’ quali grandissima si è fatta Venezia, essa indebolendosi ognora maggiormente, vassi riducendo verso la sua fine.

Solo nel 1604, dopo che l’opposizione papale a Ferrara era cessata, anzi era mutata in interesse essendo stato il Ducato inglobato nello Stato Pontificio, Ferrara ottenne che il Reno fosse “provvisoriamente” deviato e immesso nel Po di Primaro, a valle della città, passando attraverso la valle Sanmartina. Come mostra la figura D, l’idea è che, in tal modo, esso avrebbe deposto nella valle i materiali alluvionali prima di raggiungere il Po, preservando così il fiume dall’interrimento. Ma molto presto il fragile argine che doveva contenerlo verso il Bolognese cedette e il fiume dilagò nella campagna. La carta  4 ne mostra le conseguenze. Fu inevitabile cercare una nuova soluzione.

Gli studi e le proposte si susseguirono, ma nessuna di esse fu realizzata e la sistemazione provvisoria del Reno rimase di fatto inalterata per più di un secolo, fin verso la metà del 1700, quando tre rotte successive (Bisacca, Annegati e Panfilia, illustrate nelle figure E-G) ne causarono il disalveamento e l’impaludamento nelle valli del Poggio e di Malalbergo. Dopo lunghi dibattiti, si decise di aprire al fiume una via diretta al mare. Tra il 1745 e il 1795,  furono scavati vari  canali che collegarono il Reno all’antico corso abbandonato del Po di Primaro. Il fiume assunse così l’aspetto attuale, chiuso tra alti argini, tra i maggiori della valle padana.


Nel 1807, sotto il governo napoleonico, si iniziò la realizzazione di uno scaricatore che dalla Panfilia, presso Sant’Agostino, doveva portare le acque di  piena del Reno nel Panaro, e per suo tramite nel Po Grande, come mostra la carta 9. L’opera venne però sospesa nel 1814, per la caduta di Napoleone, e fu ripresa solo nel decennio 1953-64, dopo che il Reno era nuovamente, rovinosamente, esondato nel 1949 e nel 1951. Con la realizzazione di questo scaricatore, oggi noto come Cavo Napoleonico, la plurisecolare mutazione del Reno si è (per il momento) conclusa.

Le carte esposte illustrano alcune delle fasi di questa lunga storia. Vi suggeriamo di dedicare qualche minuto alle due foto satellitari in basso a destra, in cui particolari del territorio ancor oggi ben visibili sono associati alle loro origine nelle altre carte.

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