Pannello 11- I primi insediamenti e i primi documenti
Sino al secolo XIII, tra boschi, canneti e acque stagnanti, solo poche capanne e qualche casupola si stagliavano sulla desolata linea dell’orizzonte di quello che diverrà il territorio di Sant’Agostino di Sotto (oggi Mirabello). Ma a quei tempi del nostro paese non c’era traccia alcuna. Per secoli, riferendosi a quelle terre, si parlò solo di valli e di boschi. Quando però, con il procedere delle regimazioni e della bonifica, le acque si ritirarono, gli abitanti delle borgate vicine incominciarono a interessarsi a quelle terre.
All’inizio del basso medioevo, tutto il paese dipendeva da abbazie e conventi, che solevano assegnare in enfiteusi, a famiglie signorili, le terre da bonificare; cedevano cioè per lunghi periodi di tempo terre incolte con la condizione che venissero bonificate e venisse corrisposto all’abbazia, o al convento, un canone annuo, per lo più modesto. Ad esempio, al n. 2 è riportato l’estratto di un documento del 1291 con cui:
Federico, vescovo di Ferrara, avendo saputo che nel Dosso della Pontonara vengono frequentemente perpetrati omicidi, rapine, violenze e abusi, al fine di dare sicurezza ai viandanti e ai pellegrini infeuda Gozio dei Lambertini di un ampio territorio, limitato a oriente dalla valle Sanmartina, a occidente da Porotto, Capiforca e il confine di Bologna. La ricognizione [cioè l’affitto] annua è solo una libra di cera, essendo detto territorio di nessuna utilità per la sua Chiesa dato che è tutto paludi e spini, rovi e frutti selvatici, rifugio di ladri, rapinatori e assassini.
E’ l’inizio delle proprietà Lambertini nella zona di Poggio Renatico, che si estesero via via, con il passare del tempo, sino al punto che il paese venne designato come il Poggio dei Lambertini.
Sulle mappe troviamo riportati, di preferenza, nomi di casati nobiliari, ma nei documenti notarili compaiono anche altri nomi: quelli dei popolani dei borghi vicini che, trasferitisi sul posto, lavoravano la terra. Questi agricoltori, insediati su appezzamenti da loro stessi resi fertili, affidavano ai notai il compito di documentarne la presa di possesso, con atti che sono insieme registrazione di un dato di fatto e affermazione di un diritto riconosciuto e sancito. Ne abbiamo un bell’esempio al n. 3.
In un primo tempo, le terre di Sant’Agostino di Sotto furono popolate solo da contadini, anche quando il diritto di proprietà era già rivendicato dalla nobiltà cittadina, ma dal secolo XV l’aristocrazia e la sua capacità imprenditoriale, divennero per il paese una realtà, perché alcune grandi famiglie assunsero il diretto controllo delle loro rendite. Un esempio è l’atto, riprodotto al n. 5, rogato a Mirabello nel 1537, con cui i Ghisilieri, signori di San Carlo, cedono ai Pratesi le terre di La Palù (il nome è indicativo), in prossimità delle quali sorgerà, da lì a pochi anni, l’Oratorio di San Bartolomeo, oggi noto come Chiesa Vecchia di Mirabello.
A quei tempi la vita era dura, molto dura, come documenta il disegno, riprodotto al centro del pannello, che è oggi conservato nel castello di Windsor, in Inghilterra, ed è proprietà personale della Regina Elisabetta. E’ dovuto alla penna del Guercino, un grande pittore secentesco, nato a Cento, che quindi ben conosceva la nostra zona. Sembra anticipare, se pur di spalle il Terzo stato di Pelizza da Volpedo. Notate la tenerezza del padre che stringe al petto il suo bambino … un po’ porcellino.
Le ragioni che rendevano la vita dura, molto dura, erano molteplici: ce ne parla il documento 4: innanzitutto le rotte
[Le rotte…]
Ci fan perdere le sementi con li racolti, et assai volte seminamo due volte et le perdemo tutte dui.
Ci ruinano le case …
Ci atterrano [interrano] le fosse [canali] le quali, se par gran spesa a chi li ha da cavar a li tempi ordinari nelli altri loci, che tutte si atterrano [interrano] col tempo, molto major a noi par, che non potemo expettar el tempo ordinario, che assai volte bisognerà cavarle un anno sotto l’altro.
Ci spianano gli argini che sono il fondamento nostro, senza quali non potemo far uno anno, et sempre ci bisogna rifarli quando avemo perduto li racolti.
Ci fan poveri li lavoratori, a quali bisogna sempre dar soccorso, ma mai viene il tempo da poter ritrar da loro quel che se gli è dato: et così in un punto si perde il passato et bisogna prover al presente.
Ci fan fuggir le bestie in altri paesi … et il mutar stalla e pascolo oltre la spesa sempre nòce alle bestie et le fa morire.
Così si esprimeva, nel 1528 Alberto Bendedei presentando la situazione del nostro territorio al Giudice (ossia al Presidente) del Collegio dei Saggi.
Al numero 9, è riportata un descrizione secentesca della nostra zona, rara perché il testo è accompagnato da disegno, che ci trasmette il senso di reverenziale timore che gli uomini e donne di quell’epoca avevano per la forza del fiume:
… et il Rheno nasce sopra Bologna … et corre con grandissima furia o vero caduta … nella sua planitia … arginato da ogni banda con argini grossissimi et altissimi, tanto che per forcia d’argini si tiene ristretto il fiume nel suo alveo, et se non fossi la grandissima diligenza che si usa da l’una e l’altra banda col repararli, il detto fiume anegaria tutto il paese basso circonvicino ….
Ma non era solo il fiume, con le sue rotte, la causa delle miserie: erano anche le carestie, conseguenti alla perdita del raccolto per eventi naturali, o bellici, o per il semplice passaggio di armati, come nel 1525 gli Spagnoli che amazzorno, brusorno et rubbarno: vettovagliarsi a spese dei contadini era allora la norma. Poi c’era la peste, molto frequente in specie dopo il passaggio di armati, e persino il terremoto. Date un’occhiata all’elenco al numero n. 4!