Pannello 18 – La rotta del Reno alla bòtta Bisacca: 10 febbraio 1731
Nel 1726 monsignor Aldrovandi si rese conto che l’ordinato innalzamento dei terreni con le torbide regolate dalla Chiavica procedeva molto a rilento e stimò che, a quel ritmo, sarebbero occorsi non meno di cinquant’anni per completare l’opera. Concepì allora l’idea di indurre artificialmente una rotta del fiume, tramite un buco praticato nell’argine di Reno: il gran volume d’acqua che ne sarebbe sortito, dilagando per la campagna ricco di sedimenti, avrebbe realizzato in un colpo solo l’opera da lui perseguita. Temendo che qualche altro proprietario più a monte potesse anticiparlo nella realizzazione di questo atto criminoso, impedendogli con ciò di realizzare per sempre la sua bonifica, decise di affrettarsi e ne ordinò ai suoi dipendenti, con una Istruzione scritta, la sollecita attuazione: non vuole assolutamente Mons.re Aldrovandi procrastinazione alcuna si legge nella Istruzione, riprodotta al numero 1 (l’Adovrandi detta al suo segretario e parla di se in terza persona):
Per porsi dunque all’opera, e per non essere preceduti dagli altri, si è pensato e risoluto di disporre la cosa in modo che alla prima grossa piena che verrà in Reno questo rompa su li beni di detto Mons. Aldrovandi. Il sito più proprio sembra quello della golena tra la Chiavica e Bòtta Ruini, in mezzo appunto tra l’una e l’altra. E ciò si dice per doversi procurare che rompa in golena, e non in botta, a causa dell’eccessiva spesa che poi vi vorrebbe se rompesse in botta. … Per ciò, affermasi, dovrà il Fattore, col pretesto di cavarsi terra per far pietre [mattoni], fare una specie di canale ove si vorrà che Reno rompa, e poi, di notte e di nascosto, fare un buco tondo nell’argine… Poi di giorno coprirlo con frasche e terra, perché niuno se ne accorga. E per fare un tal lavoro con maggior segretezza, e che non lo sappia alcuno del Paese, si possono fare venire due o tre uomini di Romagna … e poi, successa la rotta, rimandarli alle loro case. …
Non abbiamo prove che il Cardinale abbia effettivamente portato a termine il suo progetto … criminale. Sappiamo solo che il 10 febbraio 1731 il Reno ruppe rovinosamente in corrispondenza della bòtta Bisacca (o bòtta Ruini), e il luogo da allora porta il nome di Rotta Bisacca.
La rotta fu dirompente e asportò completamente un tratto d’argine, perché il fiume ruppe in bòtta e non in golena, come aveva pianificato l’Aldrovandi. Se ne potrebbe desumere che il fiume abbia fatto da solo, senza l’aiuto del Cardinale, oppure che la valutazione della resistenza dell’argine fosse stata sbagliata. Non possediamo una sezione alla bòtta Bisacca, ma due sezioni rilevate qualche chilometro più a monte qualche anno prima (riprodotte in basso a sinistra) ci permettono di capire la differenza tra quanto era stato programmato e quanto di fatto accadde.
L’intento dell’Aldrovandi è esposto nella sezione a sinistra: forando l’argine in golena, in presenza di alti livelli (area azzurro chiaro) il getto uscente dal buco (rettangolo verde) avrebbe prodotto l’asportazione della sola parte sommitale dell’argine (zona rossa), così che, una volta sceso il livello (area azzurro scuro), il fiume sarebbe stato spontaneamente ricondotto nel suo letto dalla golena, rimasta integra.
Invece, come mostra la sezione a destra, la rotta si verificò in corrispondenza di una bòtta: l’argine fu totalmente asportato (zona rossa), così che il fiume non rientrò più nell’alveo, con conseguenze disastrose: la mappa grande, in basso al centro del pannello, rivela che le paludi si innalzarono sino a inondare i terreni sulla riva sinistra del Riolo e il fiume rimase disalveato per ben 64 anni.
Le conseguenze immediate furono molto gravi: case e campi furono allagati e sommersi dal fango, ma ciò non preoccupò il Cardinale più di tanto, perché, come emerge dall’Istruzione, l’aveva già messo in conto. Conseguenze ancor più gravi si ebbero nel lungo periodo, per il mancato rientro del fiume nel suo alveo: molti campi rimasero sommersi per anni, il Riolo fu interrito e i molini persero gran parte del loro salto motore, così che non poterono più macinare come prima. Ma Monsignore non era uomo da perdersi d’animo: innanzitutto, per ovviare a quest’ultimo problema, fece progettare un argine … nell’alveo di Reno. Ma di questo parleremo al prossimo pannello.
Per il momento torniamo sulla mappa grande, che descrive gli effetti della rotta: vedete il rottazzo, cioè il getto d’acqua, che scaturisce dalla bocca e si spande nella palude? Il riazzo [cioè l’alveo] prodotto da quel getto è citato come un elemento ben evidente per chi arrivava a Mirabello da San Carlo per la via Bassa nell’ultimo quarto del ‘700, cioè 50 anni dopo la rotta. Lo riferisce il Campione delle strade di Sant’Agostino di Sotto del 1774, esposto nel Pannello 6, che potete tornare a guardare se siete curiosi. Questa notizia vi avrà lasciato indifferenti, ma vi sorprenderà invece apprendere che il riazzo è ancor oggi riconoscibile nelle foto da satellite (si osservi l’immagine tratta da Googlemaps in basso a destra): nell’ottocento il riazzo fu infatti trasformato nei maceri da canapa che oggi costituiscono il cuore dell’Oasi delle Pradine.