Pannello 19 – Aldrovandi: difficoltà e nuove iniziative
Il quadro che si presentò al Cardinale dopo la rotta Bisacca doveva essere davvero desolante: i terreni in corso di riscatto erano devastati, il Reno vagava per l’Impresa disalveato, il Palazzo rischiava la sommersione ad ogni piena, la capacità del mulino era fortemente ridotta. Ma l’uomo non era tipo da scoraggiarsi, dopo tutto aveva previsto la situazione, se non per il Reno disalveato. Per riattivare il mulino realizzò un argine … nel letto del Reno (documento 2); per proteggere il Palazzo lo circondò con un terrapieno e fece alzare il livello del piano terreno alla sua quota.
Tanta acqua gli diede, infine, una nuova idea: coltivare riso. Realizzò alcune risaie (progetti al numero 6); poi chiamò un mantovano a gestirle.
La rotta del 1731 alla Bisacca non fu l’ultima: la seguì, nel 1738, la rotta alla bòtta degli Annegati, i cui effetti sono descritti nella mappa 3, ottenuta modificando la mappa che descriveva la rotta Bisacca che abbiamo visto nel precedente pannello. Il quadro che si presentava al Cardinale dopo questa’ultima rotta era ancor più desolante: la Chiavica era irrimediabilmente inutilizzabile, il mulino inattivo. Ma Pompeo neppure questa volta si scoraggiò: restaurò il Palazzo (come mostra il documento 5 nel Pannello 17), e, come mostra la mappa 4, potenziò al massimo la cultura del riso e alimentò le risaie (zone verdi) con un canaletto (linea blu) che derivava l’acqua dal Reno alla rotta degli Annegati. Il Riolo è dichiarato in parte interrito e si progetta un cavo (linea ocra) nell’alveo di Ladino per scaricarne le acque sino al Po di Ferrara.
Ma il Cardinale non pensava solo alla sua proprietà, per riparare il disastro che aveva (forse) contribuito a innescare si diede molto da fare. Fece realizzare a sue spese un cavo, detto Cavo Aldrovandi, il cui tracciato è mostrato nella carta del Chiesa nel Pannello 10, e spesso, come apprendiamo dal documento 5, inviava un suo agente a rilevare la situazione dei riazzi, cioè dei rami e rivoli in cui si divideva il Reno, libero di vagare per la campagna tra Sant’Agostino e il Poggio, per suggerirli cosa altro potesse fare.
Era certo, e lo ripeteva, che una volta che il Reno fosse stato imbrigliato e i terreni asciugati, si sarebbe tornati a colture più redditizie; nel frattempo le torbide avrebbero finalmente realizzato la tanto perseguita colmata e i terreni sarebbero stati così definitivamente riscattati dalle acque. Il Cardinale non vide il giorno in cui il suo sogno si realizzò, ma si realizzò. Aveva ragione lui.
Fu un criminale? Fu un genio? Difficile concludere con un giudizio netto. Forse fu l’uno e l’altro; forse non dobbiamo giudicare i suoi atti come criminosi solo perché oggi lo sarebbero (ma lo erano anche secondo le leggi del tempo). Una cosa però è certa: dobbiamo alla sua geniale, pervicace follia le belle, produttive e sicure campagne di Mirabello.
Superata anche questa difficoltà la possessione si avviava verso una sicura ripresa quando, nel 1752, Pompeo, ottantaquattrenne, morì. Nel 1748 era morto il fratellastro Filippo, ottantanovenne. Gli Aldrovandi possedevano ancora grandi risorse, ma la figura dell’erede, il conte Riniero, appare spenta a confronto con quella dello zio, al cui nome unicamente resta legato il ricordo dell’Impresa Aldrovandi di Mirabello. Lentamente la famiglia declinò e nel 1878, all’arrivo dei Sessa, la proprietà non era più loro: l’ultimo erede, Carlo Filippo Aldrovandi, l’aveva ceduta per debiti nel 1803.