12 – La Parrocchia (Pannello 22)
Per quanto riguarda la dipendenza diretta dall’autorità ecclesiale, la frazione dì S. Agostino di Sotto (Mirabello), benché le sue terre da un punto di vista amministrativo e giuridico siano sempre indicate come in Guardia Galeriae, fu per lungo tempo soggetta alla parrocchia di S. Agostino di Sopra o delle paludi.
Insistiamo sul secondo appellativo perché ci sembra particolarmente legato alla zona di Mirabello e alle sue, primitive condizioni: acquitrini, poche e misere abitazioni isolate, residenti sparsi, in un numero insufficiente a costituire una qualsiasi comunità.
Tutto, ciò rendeva naturale e logico che il futuro Mirabello non potesse nemmeno aspirare a rivendicare una propria parrocchia.
Quando però il territorio cominciò ad assumere una propria fisionomia con lo sviluppo delle proprietà signorili e in particolare quando i Conti Prosperi vi si stabilirono e vi fecero costruire la chiesetta di S. Bartolomeo (foto in Pannello 13), Mirabello divenne un centro di una qualche importanza: il traghetto del Reno rendeva possibile lo scambio tra le due sponde e un armonioso sviluppo del territorio; le case dei coloni si moltiplicarono sempre più rapidamente e i palazzi Ghisellieri, Prosperi e Aldrovandi dettero al paese un decoro ed un prestigio pari o superiore a quelli che potevano essere vantati da S. Agostino o da Galliera.
La nuova chiesa di S. Paolo, suffraganea di quella di S. Agostino, si trovò a curare un numero di anime di poco inferiore a quello della parrocchiale.
All’inizio del secolo XIX la comunità di Mirabello avanzò richiesta di smembramento della parrocchia esistente e di elevazione a parrocchia della chiesa locale. Ne seguì presso la Curia di Bologna una vera e propria causa, fedelmente riportata, con ricchezza di particolari che non ignorano una certa acrimonia tra le parti, dalla pubblicazione a stampa degli atti del processo che ne derivò Sacra Congregatione … Dismembrationis Paraeciae pro oppido Mirabelli, eiusque incolsi… [Archivio parrocchiale di Mirabello]. La controversia fu lunga ed aspra, con risvolti di gelosie, rivalità ed interessi privati, la cui documentazione, che noi ci sforziamo di riportare nella maniera più obiettiva possibile, costituisce un istruttivo quadro del modo di pensare, dei costumi e delle condizioni di vita di quel tempo.
Torniamo, ancora una volta, agli inizi della nostra storia, quando tutti i vasti territori di Galliera e S. Agostino, remotissimi tra paludi e valli deserte, dipendevano dalla parrocchia di S. Maria di Galliera. Allora fu S. Agostino, bonificato e già avviato a una certa prosperità, che, pur contando solo trentasei case e forse due o trecento abitanti nell’intera sua zona, rivendicò la separazione dalla matrice e, il 12 gennaio 1507, la ottenne sotto il patronato di Girolamo e Francesco Bianchetti che avevano edificato la sua chiesa. La popolazione della nuova parrocchia di S. Agostino, che nel 1554 passò sotto lo jus patronatus della famiglia Ariosti, si accrebbe rapidamente tanto che fu necessario dividerne la circoscrizione in tre quartieri: quelli di S. Agostino, di S. Carlo e di Mirabello, la cui chiesa (S. Bartolomeo dei Prosperi) fu fin dal 1574 sussidiaria di S. Agostino.
La chiesa di San Paolo di Mirabello [Arch. E. Carletti]
Verso la fine del 1700 l’aumento della popolazione e lo sviluppo dell’economia del luogo indussero l’arciprete Serra, parroco di S. Agostino a edificare a Mirabello una nuova ampia chiesa (S. Paolo, foto in Pannello 22) che sostituisse l’inadeguato oratorio Prosperi. L’arciprete acquistò circa quattro tornature di terreno e provvide alla costruzione della chiesa, della quale 1’8 giugno 1788 prese possesso. Questa iniziativa, che il parroco aveva voluto come affermazione del suo prestigio personale e della sua autorità, mosse invece i mirabellesi a iniziare una polemica contro la parrocchia dalla quale dipendevano.
La popolazione del territorio aveva raggiunto ormai le 5164 anime: 1847 il quartiere di S. Agostino, 1516 quello di S. Carlo, 1801 quello di Mirabello, che contava già 320 case in continuo aumento. Nel 1838, morto l’arciprete Gaetano Lolli e rimasta per qualche tempo vacante la circoscrizione dì S. Agostino, i mirabellesi ritennero giunto il tempo propizio e chiesero l’erezione della loro chiesa a parrocchia.
Le motivazioni della richiesta furono molte; la popolazione di Mirabello, si faceva osservare, era composta di braccianti, agricoltori, artigiani, negozianti, bottegai e agenti delle tre padronanze: Malvezzi, Prosperi, e Morardet (quest’ultimi avevano acquistato la proprietà degli Aldrovandi). Nessuno di questi poteva lasciare il paese di domenica per recarsi al capoluogo; i primi perché costretti a fare la spesa nei giorni festivi, con la conseguenza che i negozianti non potevano chiudere le loro botteghe, gli ultimi perché dovevano recarsi dai loro padroni a prendere ordini o a rendere conto del loro operato; costoro non potevano, quindi, accostarsi ai sacramenti, ne ascoltare la parola del parroco. Nella chiesa locale i cappellani si susseguivano senza affezionarsi ai parrocchiani e senza ottenerne la fiducia; mancavano di credito e di autorità; un mercenario non è stimato, né obbedito, né rispettato; le sacre funzioni non vengono celebrate col doveroso decoro e nella chiesa regnano spesso l’immodestia e il cicaleggio … la non curanza, l’indevozione. Spesso viene a mancare la messa, e di conseguenza la popolazione, ed in particolare la gioventù, si avvezza a tenersi lontana dai sacramenti, si abbandona ai vizi e alla lascivia, esponendo a gravi pericoli le tenere e inesperte zitelle ; come prova e conseguenza di tale sfacelo religioso-morale si cita il caso di due teneri giovinetti detenuti per malcostume. Il parroco, incurante della sua missione spirituale, mira unicamente al proprio interesse, impone irragionevoli gravezze e solo raramente si reca a Mirabello.
A questi motivi, che già costituiscono un quadro notevolmente fosco, i mirabellesi aggiungono l’affermazione che gli abitanti di S. Agostino ostentano verso di loro sprezzo e odio e che l’arciprete, con azione ostruzionistica, vuol togliere loro persino il permesso di soddisfare il precetto pasquale nella propria chiesa. Inoltre, fanno notare, la distanza dalla parrocchia è eccessiva e lo stato delle strade è tale che d’inverno, ma talora anche d’estate, il tragitto risulta estenuante, quasi ineffettuabile, specie quando si devono portare i neonati al battesimo, o i morti al cimitero; insistono in particolare sul modo indecente di recare i corpi dei poveri al camposanto di S. Agostino: i morti, senza sacerdoti, sono trascinati come bruti su due legni incrociati e spesso i cadaveri vengono abbandonati insepolti.
A tante e tali accuse il difensore di S. Agostino risponde con pari asprezze, anche se con una qualche maggiore diplomazia: la richiesta di dismembrazione è stata avanzata in seguito agli intrighi di due o tre appassionati … del cessato regno italico [del periodo Napoleonico], coi quali mestano solo due o tre sussidiari. I fatti ad eccezione di normali contrattempi o di incidenti addebitabili al sussidio o a circostanze imprevedibili, sono stati alterati. Gli unici contrasti sì sono verificati a proposito del cimitero e di alcune questue ma contro la divisione sono state raccolte quarantasette firme, quasi tutte di possidenti. Per quanto riguarda il camposanto si fa notare che quello di S. Agostino è stato rinnovato nel 1790 col contributo degli stessi mirabellesi, che non intendono perciò sostenere nuove spese al riguardo; sullo stato delle strade si afferma che esso consente il trasporto in ogni stagione e che il Comune mantiene due bare chiuse e un carrettone per trasportare i cadaveri al Cemeterio Comunale. II trasporto, eseguito giusta le prescrizioni sanitarie può essere di due tipi: per le famiglie agiate, che desiderano l’accompagnamento dei loro trapassati, col mezzo di uomini; per le altre di minor fortuna il Comune provvede, con minor spesa, su indicazione del parroco al trasporto.
Alle proteste per le questue vengono opposte le rilevanti spese (undicimila scudi) generosamente sostenute da don Serra per la costruzione della chiesa di S. Paolo, aperta al culto fin dal 1804 e servita sempre da uno o più sacerdoti, che hanno assicurato la continuità dell’assistenza spirituale e culturale.
Nel 1812 don Serra aveva fatto per S. Paolo altre spese per la facciata, la scala, i muri e per quattro confessionali di pietra e nel 1813 per una nuova scalinata, il terrazzo e il campanile. Inoltre, per accrescere il decoro della chiesa, aveva acquistato numerose tavole: una Conversione di S. Paolo di Filippo Pedrini di Bologna per l’altar maggiore e Angeli, con grandiosa cornice dorata, per il catino dell’abside; del Petrocci pure di Bologna un S. Vincenzo Perreri e, infine, del bolognese Lorenzo Pranzini un Transito di S. Giuseppe, fatti allusivi alla Conversione di S. Paolo, in chiaroscuro nel coro e i Quattro dottori della Chiesa sopra i confessionali. Contro la pretesa di spartizione viene affermato che la precisa volontà del Serra fu che ogni diritto sulla chiesa di S.Paolo fosse riservato a sé e agli altri arcipreti suoi successori, come si poteva ricavare dal suo testamento e dalle iscrizioni all’interno della chiesa (… in honorem Pauli Apostoli … losephus Serra … dedicavitque A 1804 … in eam omne sibi et successoribus reservavit …) e sulla porta maggiore della stessa; in caso di smembramento la chiesa e tutti i suoi beni siano venduti a vantaggio dei poveri di S. Agostino. Ma dopo aver magnificato la munificenza dell’arciprete, la difesa, cadendo un poco in contraddizione, si sforza di dimostrare le necessità che angustiano la parrocchia, la quale nel 1789 aveva dovuto richiedere alla Contessa Elena Tortorelli, vedova di Nicolò Ariosti, la restituzione delle terre dotali della chiesa, che, dopo le ultime inondazioni, gli Ariosti avevano incorporate nei propri beni. In tali disagi in caso di spartizione S. Agostino avrebbe perso la proprietà e la rendita dei trentadue banchi nuovi della chiesa di Mirabello, che, a due paoli annui per posto, rendevano trentadue scudi all’anno.
Sembra davvero che l’interesse economico stia più a cuore al difensore che la preoccupazione d’ordine spirituale e morale. Egli insiste sul fatto che don Serra nel 1819 aveva speso altri denari per aprire a S. Agostino una Casa della Spezierie. Poi a sottolineare maggiormente i meriti del Comune (ma nessuno chiedeva di dividere il Comune!), ricorda che a Mirabello era stata istituita una condotta medica, con un medico chirurgo (gratuito) che risiedeva stabilmente nel paese e che il paese stesso godeva di una scuola normale, istituita nel 1830 affinché i giovani abbiano una educazione civile. Ricordiamo a questo proposito che fino al 1860 le scuole erano tutte nelle mani della Chiesa e, nei paesi, dei curati. Inoltre per la quaresima veniva mandato a Mirabello un predicatore che migliori la morale della popolazione.
Insiste ancora che il Comune, con spesa non lieve, alcuni anni addietro aveva posto sulla torre un orologio e che per incoraggiare i giovani offriva premi allo studio e alle buone morali discipline e manteneva presso il seminario di Cento il chierico di Mirabello Francesco Battaglini. La conclusione della difesa sembra dettata da considerazioni reazionarie e allarmistiche: tra le due comunità, come la Direzione di Polizia conferma, ha sempre regnato buona armonia; il dismembramento, che avrebbe tolto a S. Agostino parte notevole delle tante necessarie risorse e imposto nuove spese, alimenterebbe gli animi alla insubordinazione civile, in tempi sì facili all’esaltamento soverchio dei popoli. Lo stesso sussidio di S. Carlo avrebbe potuto montarsi la testa e rivendicare, a sua volta, la Separazione.
I mirabellesi reagiscono senza risparmiare nuove pesanti accuse; allo smembramento della parrocchia di S. Maria di Galliera, il parroco che aveva più caro il vantaggio spirituale dei suoi parrocchiani, che il proprio interesse … consentì alla dismembrazione. Non così si è comportato don Serra, anche se la pretesa che gli viene attribuita appare inventata e falsa, non risultando dal suo testamento; tanto peggio se fosse vera: sarebbe un monumento perenne all’animosità degli arcipreti di S. Agostino contro i mirabellesi, e inoltre, fanno osservare, la patrona Marchesa Elena Gozzadini Ariosti, vedova Marescotti, fatti salvi alcuni suoi diritti, non si opponeva alla creazione della nuova parrocchia e i principali possidenti della zona, benché esteri, si erano uniti ai mirabellesi. Già nel 1811 il cardinale Giovanetti aveva accordato alla sussidiaria di Mirabello di somministrare il battesimo, sia pure in particolari condizioni.
La controversia continuò, lunga e delicata, scomodò (citandole) le sentenze della Sacra Rota e le disposizioni di Alessandro III, ma alla fine i mirabellesi la spuntarono; il 30 marzo 1840 il cardinale Arcivescovo Opizzoni, delegato Apostolico, decretò la erezione a parrocchia di S. Paolo di Mirabello; la nuova chiesa dovrà però offrire ogni anno due libre di cera alba alla chiesa matrice, durante la messa solenne per la ricorrenza di S. Agostino.
Gregorio XVI solennemente approva e conferma
…et Ecclesia S. Pauli de Mirabello in Curiatam instituimus, atque erigimus… cuius fines esse volumus – Provincia ferrarensis – ducatum de’Galliera et Podium Rhenaticum, nec non Curiam S. Augustini autem nulla inter binarum Curiarum fines quaestio exoriatur, declaramus confinia huius novae Paraeciae Mirabellensis quae in ichonographia antedicta delineantur comprehendere apud fines Aedes noncupatas Sacerdoti – Casazza – Colombara vecchia – Farinella – Gloria – Fontanazzo – Possessione Chiavica et S. Filippo. Aedes autem noncupatas Zerbinata – Tassona – Cevolani – Bellavista – Ramponi – Trombetta – Bitelli – Chiavica Aldrovandi – Ghiaia – Molino et Boscona in territorio augustiniano comprehendi declaramus ….
Il 15 aprile 1840 Cristoforo Malavasi, economo della chiesa di S. Paolo, ottiene dall’Arcivescovo di Bologna l’autorizzazione a utilizzare a uso cimitero (al cui centro deve porre una croce) sei tavole quadrate di terreno, che deve circondare con folta siepe, e il 22 aprile successivo, col concorso di don Angelo Bortoletti e grande partecipazione di popolo, il nuovo cimitero viene inaugurato.
Della lunga controversia resta solo un ricordo, sgradito al nuovo parroco di Mirabello: l’oblazione di cera a S. Agostino. Il sacerdote che vorrebbe evitare di farla personalmente chiede delucidazioni al cardinale, il quale gli risponde che l’offerta deve farsi dal parroco, solennemente vestito di cotta e mozzetta, ma qualora questi sia legittimamente impedito, può delegare altro sacerdote, che vestirà solo la cotta. L’ultimo vincolo ecclesiale con S. Agostino è cancellato e Mirabello è ormai un centro autonomo stretto attorno al suo nuovo parroco, con una propria condotta medica e una scuola che, sia pure nei suoi limiti, comincia a cancellare il secolare analfabetismo del popolo.
Siamo giunti in un’epoca in cui la stampa si sta diffondendo, anche in giornaletti locali e in manifesti murali, che ci permettono di seguire alcune vicende del paese. Interessanti, ancora per quanto riguarda la religione, l’annuncio di una pubblica Sacra rappresentazione o le notizie della costruzione del nuovo campanile o della morte di Monsignore Pranzini, che fu pastore di Mirabello.
Dimenticata l’eccitazione dei tempi dello smembramento, il popolo è tornato a partecipare gioioso o commosso alle vicende di ogni giorno nelle quali si esprime la sua genuina religiosità.
Anche la fotografia ci permette da questo momento di documentare una storia che è ormai storia dei nostri nonni; una storia per molti aspetti tuttora attuale.